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Testi critici

Piante e insetti della macchia e delle garighe mediterranee

di Edoardo Maffeo
Si pensa per capire ma spesso i pensieri se ne vanno disordinati, ognuno seguendo una propria imperscrutabile ed imprevedibile rotta. A volte si scontrano, ma spesso si incrociano dando vita ad inestricabili grovigli di immagini e segni. Ebbene, Simonetta Chierici spazia sicura in questi depositi emozionali; osserva, seleziona, quindi, sintetizza e ricompone affidandoli alla carta.
No, non scrive, dipinge. Che poi, a pensarci bene, è la stessa cosa. Utilizza una tecnica antica e difficile che qualcuno si ostina ancora a considerare un’espressione artistica minore, il passatempo ideale per dilettanti e fragili fanciulle: l’acquerello. Costruisce con forza e irruente franchezza le proprie opere, ma le cura sin nel dettaglio, fino a dar vita a strutture visualmente espresse, dal carattere innanzitutto mentale, di straordinario vigore, di piena, vibrante suggestione. Il suo vocabolario stilistico si avvale di macchie che si sposano alle macchie, di tarsie che si rincorrono felicemente, di passaggi tonali che inglobano gli effetti dei chiari e scuri. Sono pennellate disinvoltamente emotive, sempre calibrate, essenziali e armoniche nel rapporto cromatico. Sorprendono sempre le strutture formali e coloristiche che popolano le sue carte ed i suoi collages; emozionano pacatamente, senza alcun ricorso a vuote forme di retorica manieristica.
Quasi all'improvviso, con forza e con franchezza, l'arte di Simonetta si rivela infatti assai vicina alla nostra comune sensibilità: il suo racconto per immagini si inserisce nel patrimonio collettivo delle visioni quotidiane, verso un personale intenso universo di umane sensazioni, a tratti onirico, ma essenzialmente riconoscibile e diretto, quindi condivisibile. La sua opera, nell'insieme, non è il riflesso di una tendenza o, almeno, di un orientamento, ma l’espressione immediata e diretta di un “sentire” profondo e dell’insopprimibile desiderio di raccontare storie, le sue certo -  quelle più  intime - ma ancor più le “non” storie del mondo naturale che ci circonda e della smarrita umanità dei nostri giorni. Ecco allora che il lavoro dell’artista acquista immediatamente una chiara organicità e consequenzialità, pur nella forte discrepanza dei singoli pezzi.  In realtà non è tanto "l'unità stilistica" a rendere coerente il suo percorso, quanto "l'unità di ispirazione", questa sì del tutto coerente e rettilinea al di là delle apparenze immediate.
Da una immagine all'altra si avverte una sorta di eco interna che accosta e rende affini forme di fatto lontane e persino antitetiche, il cui "senso" però è logico e complementare. Simonetta Chierici dipinge, ciò che (ac)cade sotto i suoi occhi nel corso di un quotidiano molto più attivo che contemplativo, congela istanti, cogliendone realtà e paradossi, tragedie ed ironie. In tal senso, qualunque cosa faccia, è un'artista del tutto realista e, anzi, la sua concezione del realismo è la più spontanea e diretta possibile, quella cioè in base a cui tutte le apparenze del reale sono già strutturate in senso "estetico" e l’artista non deve fare altro che registrare e fissare questo "sottinteso" che è presente in ciò che si vive, in ciò che ci emoziona. 
Non è una posizione di tipo filosofico ma, al contrario, pressoché istintiva. Le fonti della sua ispirazione sono l'atto stesso della visione e tutte le sensazioni che accompagnano il corso delle esperienze, costituendone il lato puro e disincantato.
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